Il depauperamento delle risorse del SSN e la frammentazione della Sanità Italiana
L’impoverimento strutturale del Sistema Sanitario Nazionale ha coinciso con una gestione sempre più frammentata della sanità che è stata regionalizzata. La regionalizzazione ha generato delle mini-repubbliche sanitarie che, in modo autoreferenziale vantano eccellenze di vario tipo, non basate sugli effettivi benefici ottenuti dalla popolazione residente, ma sul numero di prestazioni erogate senza alcun riferimento né alla loro qualità né alla loro utilità. Tale frazionamento del SSN, con la creazione di sistemi sanitari regionali non dialoganti tra loro, in assenza di un coordinamento centrale forte, ha prodotto e produce anomalie che impattano sulla gestione di patologie che interessano tutta la popolazione del paese. Così, per esempio è possibile ottenere due offerte diagnostico-terapeutiche diverse per la stessa malattia per abitanti di due paesi distanti 3 Km uno dall’altro ma situati in due regioni adiacenti.
Tale frazionamento della gestione della “salute”, in assenza di un forte e condiviso potere di coordinamento centrale, è tra le principali cause del mancato controllo della diffusione dell’epidemia da COVID-19 dai primi focolai lombardo-veneti al resto del paese.
Dopo i casi di COVID-19 comparsi nell’area di Codogno, e dopo l’istituzione dell’area rossa, in uno dei tanti talk-show in cui i virologi che non avevano pazienti da curare, andavano a sparare tutte le cazzate che gli passavano per la testa, hanno intervistato il deputato Pierluigi Bersani da Bettola. A domanda “ma qual è il suo stato d’animo per quello che stà succedendo in un paese così vicino alla sua Piacenza?” Pierluigi Bersani triste e con una vena di commozione ha risposto “ma come vuole che mi senta…sono addolorato e attonito di fronte a tanti morti…mi dispiace molto anche perché in quell’area ho molti amici…alcuni che conoscevo da molti anni perché siamo andati a scuola assieme…”. In quel momento ho pensato “domani estenderanno la zona rossa anche a Piacenza, Cremona, Lodi, Crema e la bassa bresciana e la bassa bergamasca”. Il perché? Perchè tutti i ragazzi del comune di Codogno vanno a studiare a Piacenza, tutti gli abitanti di quell’area frequentano gli stessi supermercati dei piacentini e dei cremonesi, lavorano nei paesi limitrofi, frequentano gli stessi ristoranti, le stesse discoteche e gli stessi cinema. Non l’hanno fatto. La chiusura solo dell’area di Codogno mi ha fatto rammentare un vecchio proverbio popolare che dice “ha chiuso la stalla quando i buoi sono già scappati”. Forse che al posto di andare in televisione a sparare cazzate gli epidemiologi dovevano verificare dove gli abitanti di Codogno e dintorni lavoravano, studiavano, andavano a fare spesa, andavano a divertirsi etc. etc. e chiudere le aree coinvolte nei loro spostamenti? Come mai Regione Emilia Romagna non ha istituito una zona rossa nel piacentino che Piacenza e Codogno sono separate da un ponte sul Po? Come mai Regione Lombardia non ha allargato a Cremona e Crema l’area rossa? Forse che era necessaria una visione panoramica della situazione? Forse che il mancato coordinamento tra Regione Lombardia, Regione Emilia e regione Veneto non ha prodotto il miglior risultato possibile? E il centro di crisi nazionale? Non è accettabile che il governo attraverso i suoi rappresentanti si esprima e che i governatori di 19 regioni diverse esprimano il loro parere in disaccordo con quello del governo ed in disaccordo tra di loro: “le mascherine si” “le mascherine no”, “i tamponi si” “i tamponi no” e via via discorrendo.
In un paese civile è giusto che tutti i rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali possano e debbano potersi esprimere in un contraddittorio, ma la sintesi, che deve essere fatta in caso di eventi estremi come una pandemia dal rappresentante di tutto il popolo italiano, deve contenere indicazioni uguali per tutti i cittadini non delegittimabili da nessuno. In altre parole, le regioni dovrebbero essere come le dita di una mano che quando è necessario si stringono tutte assieme con lo stesso obiettivo. E che le dita della mano non si siano strette tutte assieme è evidente. Ad esempio, a Bergamo a supportare l’Ospedale Papa Giovanni XXIII al collasso, dove un primario medico ha chiesto al mondo intero tramite i media nazionali di essere aiutato, sono arrivati i medici russi, i medici polacchi ma non i medici dell’ospedale di Verona che è a 50 Km di distanza e che, pur essendo in territorio italiano, sfortunatamente è ubicato in un’altra regione. Piacenza è stata lasciata sola. Un diluvio di operatori sanitari infettati dal COVID-19, medici e infermieri ammalati e morti e neanche i medici di altre strutture ospedaliere della stessa Regione, hanno contribuito all’emergenza se non in modo assolutamente marginale. E mi fermo qui.
In un momento di difficoltà come questo, in cui tutti dovrebbero lavorare ed avere come unico riferimento un Istituto Superiore di Sanità che parli con una sola voce non delegittimabile sintesi di tutte le altre, abbiamo assistito al mercato delle vacche in cui medici di qualsivoglia specialità, malati di protagonismo e affetti da “little dick’s syndrome”, si sono sentiti in dovere di dire quale secondo loro è la miglior cura, il miglior approccio al paziente e così via. Cardiologi, Oncologi, Oncoematologi di colpo son diventati encomiabili epidemiologi. Medici infettivologi sono diventati pneumologi e rianimatori senza pari. Infine, politici appartenenti a tutto l’arco costituzionale si sono sentiti in dovere di dire la loro opinione, sulla contagiosità del virus, sull’evoluzione della malattia, sul fatto di chiudere o meno attività imprenditoriali non indispensabili in una situazione di emergenza etc. etc. Forse che siamo all’esagero? Forse che il ciabattino dovrebbe occuparsi solo delle scarpe? Sarebbe cosa utile.
Di fronte a così tanti morti sarebbe cosa utile il silenzio e una riflessione sul fatto che questa disgrazia non è un’opportunità da cogliere, ma un momento di dolore per tutti. Questa classe politica dovrà prendere contezza che tutte queste morti hanno dei responsabili politici, burocratici ed amministrativi che alla fine dovranno assumersene la responsabilità e risponderne al popolo italiano tutto. Una classe politica avveduta e lungimirante, che non può essere quella che ci ha portato al disastro, comprende che l’unica vera opportunità che va colta da questa disgrazia è la possibilità di riformare il SSN ricordandosi che esso è il frutto della nostra storia millenaria e che rappresenta un contratto tra tutti i cittadini italiani, belli e brutti, ricchi e poveri, a tutela della loro salute e della loro vita.
Prof. Sandro Rossi